giovedì 5 aprile 2012

Nella mia Pasqua


Giovedì Santo, 5 aprile 2012

Se dovessi scegliere
una reliquia della Tua Passione
prenderei proprio quel catino
colmo d’acqua sporca.
Girare il mondo con quel recipiente
ad ogni piede cingermi l’asciugatoio
e curvarmi giù in basso,
non alzando mai la testa oltre il polpaccio
per non distinguere i nemici dagli amici,
e lavare i piedi del vagabondo, dell’ateo,
del drogato, del carcerato, dell’omicida,
di chi non mi saluta più,
di quel compagno per cui non prego.
In silenzio…
finchè tutti abbiano capito,
nel mio, il Tuo Amore.




Sveglia puntata per l’una e trenta. Caldo che toglie il fiato e costringe a stendere la stuoia fuori, sotto un cielo che si fa bianco di nuvole e luna quasi piena. E si ringrazia Dio anche per questi quaranta gradi di notte: è una meraviglia avere intorno solo la natura. Terra, cielo e animali che nemmeno la notte riposano. 
Accontentarsi del caffè solubile perché il gas è finito e poi uscire, cercando di fare meno rumore possibile aprendo il cancello in ferro perché in questa notte qualsiasi rumore stona. 
Fa buio, ma c’è una luce che, nonostante aprile, sembra quella della capanna. Comunque ci dice che bisogna andare lì. Ed ecco lo spettacolo, questa volta ne è l’artefice l’uomo, con il suo corpo, la sua preghiera sussurrata, cantilenata, il canto lieve e le mani delicate. 
Siamo intorno a chi ci chiama, a chi ci chiede di stare. Siamo lì e io sono commossa. E mentre cerco di fare silenzio nel mare di sentimenti che inaspettatamente mi hanno invaso, ce n’è uno che scavalca tutti gli altri: siamo davvero tutti figli di uno stesso Padre. Si, ora ne ho la certezza.
E per la seconda volta (qui si contano) ho smesso di sentirmi bianca, pallida e italiana. Ascolto le loro preghiere, più in samo che in francese e colgo sempre, ripetuta all’inverosimile, timidamente recitata, con sicurezza pronunciata una sola parola: barka. Grazie. 
Chi in ginocchio, chi sdraiato, chi stanco e appoggiato alle panche, chi seduto …c’è solo gente che sta ripetendo grazie per quello che è stato loro donato. Non chiedono nulla a quel Dio che stanno ringraziando. 
Come posso non interrogarmi, non mettermi in discussione? Mi chiedo per cosa ringraziano. Mi è difficile a volte pensare che con loro Dio sia stato veramente buono. È un pensiero scomodo, che mi turba e mi fa vergognare. Parlano anche di saper rinunciare, di farsi piccoli. Ma più di così, si può? 
Tra tutte quelle parole e quei canti incomprensibili non mi resta che dire il mio grazie: Grazie Signore, perché sono qui, in mezzo a loro. 

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