Sembrava la fine del mondo. Sembrava
che tutto stesse cadendo a pezzi, uno sull’altro, con il suo solito tempo
scandito. Erano le 2.45, il dormiveglia non mi ha fatto realizzare cosa stesse
succedendo. Ad un certo punto mi sono stretta forte la testa tra le mani,
magari era un sogno da cui faticavo a svegliarmi; o magari il tetto sarebbe
crollato su di me. Per istinto, e un po’ da film , mi sono infilata con la
testa sotto le coperte, convinta forse di potermi salvare. Mi ha aiutato il
ricordo della Sierra: era pioggia. Acqua grondante da un cielo nero di estate. Acqua
inattesa, acqua fuori stagione. Ma non ne scendevano gocce, arrivava giù a
secchiate. Ha sempre esercitato un forte fascino su di me la pioggia, forse un
po’ meno negli ultimi anni quando i portici di Bologna bagnati si trasformavano
in piste di ghiaccio per quanto fosse impossibile starci in piedi; ma stanotte
è stato terrore puro. Una pioggia di quindici minuti che ha svegliato il
villaggio intero, si perché in realtà quello che è giusto raccontare al resto
del mondo è che ora sono le 3.26 e fuori da questi muri i tam tam stanno suonando,
le donne cantando e ogni sorta d’animale dice la sua. Intanto per l’ennesima
volta non capisco ed allora oso interpretare: acqua come benedizione, linfa per
questa terra crepata dal sole. Certo la musica è musica di festa.
Così, anche questa notte, l’Africa
si fa maestra di accettazione, di pioggia come lo sa fare con la morte.
Ora ha smesso, ora me ne torno a
dormire, anche se vorrei trovare il coraggio di aprire la porta e scoprire il
colore del fango; torno a dormire con due domande:
-
come fa questa gente sempre infreddolita a
sopportare quest’aria gelida che sta salendo dalla terra e entrando dalle
finestre?
-
è successo qualcos’ altro di straordinario
stanotte, in qualche parte nel mondo?
P.S.: i bambini al Centro oggi
erano stanchi: chi non ha dormito per la paura, chi per il rumore dell’acqua su
questi tetti di lamiera, chi per il freddo e chi… è uscito a danzare sotto la
pioggia.