È come aver mangiato tantissimo, ma poi qualcosa non l’hai digerito e te ne accorgi solo prima
di infilarti sotto le coperte. È stata una giornata memorabile nella sua
assoluta semplicità. La messa è stata un dolce cullarsi sulle voci dei bambini
che hanno cantato durante la celebrazione per festeggiare il “Noel des enfants”:
uno Zecchino d’oro di voci nere che ha riempito di dolcezza l’immensa chiesa
affollatissima. A seguire, fuori sul piazzale, danze scatenatissime a ritmi
irresistibili, animate e ballate dai bambini stessi. Il sole scaldava già, poi
l’aria non tira abbastanza quando si è circondati da decine e decine di bambini
che ti fissano con quei loro occhi neri e intanto ti chiedi “chissà cosa devo
fare, chissà cosa si aspettano da me adesso” e scopri che non vogliono
assolutamente nulla, che stringerti una mano è sufficiente; ma ne valeva la
pena. Ci incamminiamo in parecchi verso il Centro: giochi canti e coccole a non
finire prima del pranzo. E poi… piedi scalzi nella terra che piano piano
diventa fango, schiene piegate, mani insaponate: abbiamo lavato piatti, bicchieri,
posate e pentole per una settantina di persone. Sotto il sole sempre più caldo,
perché intanto mezzogiorno era passato da un paio d’ore. Ho camminato senza
scarpe sui sassi e ancora mi chiedo come fanno a correrci loro. Mi sono sentita
ripetere una valanga di merci da Anna
e Rebecca, le due cuoche che trecentosessantacinque giorni all’anno si spaccano
la schiena per cucinare quintali di to, riso e cus cus ad una cinquantina di
bambini. Ogni santissimo giorno, in forma o ammalate, non fanno mancare sorrisi
sinceri e allegria tra le pareti della cucine ed anche oggi ci hanno riempite
di ringraziamenti per il lavoro risparmiato loro. Ho cercato di contraccambiare
in quantità i loro grazie per quello che ci stanno insegnando: restando nel
retro, sudando in silenzio, faticano per far stare bene i bambini e non una
volta che ci siano una smorfia o un sospiro di stanchezza su di loro. Finite le
grandi pulizie quotidiane, Jean Noel ci ha atteso guardandoci mentre cercavamo
di togliere il fango dai nostri piedi bianchissimi. La sua nonna, con cui vive
siccome è orfano, ci dice di andarla a trovare. Eravamo stanche, provate dal
caldo e dal fare, ma non potevamo dire “un’altra volta”. Ed allora eccoci:
sedute nel cortile di Charlotte che di nonna ha davvero poco (a partire dall’età)
con un bambinetto in braccio e arachidi da sgranocchiare in mano. L’intera
famiglia era impegnata nella preparazione della cena (e del pranzo per il
giorno dopo): to. La loro tipica polenta, stasera di farina di gros miglio. Che forza, che muscoli per
girare quell’enorme impasto che doveva sfamare un’intera famiglia (africana, in
qualità di dimensioni)! Charlotte ci ha invitate a cucinare insieme a lei, ci
ha insegnato i movimenti giusti, dove afferrare il mestolo, come gettare la
farina, la buille e infine come versare il tutto nelle pentole. Si, perché qui
cucinare è una vera e propria arte, con le sue regole precise per chi la
conosce e che lascia fascino e stupore per chi osserva. Infine, prima di incamminarci
sulla strada, ci ha mostrato svelta la casa, invitandoci a tornare un’altra
volta per visitarla perché… si stava facendo buio e non si vedeva bene l’interno
…senza elettricità. In realtà non serve molta luce per vedere cosa ci sta
dentro, perché abbiamo potuto vedere che non c’è assolutamente nulla, se non
pareti senza porte che dividono lo spazio, pareti che tanto mi hanno ricordato
la poltiglia di acqua e sabbia con cui amavo costruire piccole montagne in riva
al mare. Siamo ripartite verso casa, accompagnate da un’altra nipote di
Charlotte che portava sulla testa un regalo: due pentole con il to appena
cucinato e la salsa per accompagnarlo, per la nostra cena di stasera. Non avevamo
altro da dire se non merci; non si sa
mai come contraccambiare. È stato sulla strada del ritorno che ho ingoiato quel
boccone che non riesco a mandar giù: in fondo alla via musiche e danze. È il
funerale di un bambino che ieri ha preso la pistola del papà cacciatore e si è sparato. Si è fermato in gola questo nodo, perché stamattina al
centro gli altri bambini mi hanno raccontato che nei giorni scorsi, durante le
vacanze di Natale, lui è venuto al Centro a giocare con noi. Ho riguardato le
foto delle mattine trascorse, non sono riuscita ad individuarlo, ma ci sono
solo due bambini che giocano con noi e che però non sono del Centro. Aspetto di
incontrare uno dei due, prima o poi, per capire chi è che non mi saluterà più
passando per strada.
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