Alle 17, mentre cercavo di
strimpellare qualcosa alla chitarra con Teresa, delle voci oltre il muro: “Alis,
Teres!!!” Poi passi svelti, di una corsa e Alansandre, Jean David e Oscar al
cancello nelle loro disordinate divise di scuola. Buttati gli zaini (se così si
possono chiamare) al muro, si sono catapultati su di noi. Un turbinio di mani,
abbracci e sorrisi…ed erano solo in tre. Erano appena usciti da scuola e sono passati
a salutarci. Mentre Oscar scappa via senza dire nulla, Alansandre mi chiede se
tal Fransesco, salutato stamattina al
telefono mentre parlava con me, sarebbe mai venuto qui perché lo vuole
conoscere. Chiacchiere a non finire, qualche parola impronunciabile in samo,
solletico e torna Oscar con in mano cinque lecca lecca a forma di minuscoli
coni capovolti arrotolati in pagine di quaderni. Non potevamo dire di no
mettendo al sicuro le nostre pance italiane. Abbiamo mangiato insieme questo
bon-bon davvero poco delizioso, ma il gesto contava più dell’oggetto. Ci hanno
mostrato i loro quaderni, colorati da penne rosse e blu, ordinati tanto quanto
stropicciati. Hanno ballato cantando. Mentre in un baleno il cielo si faceva
scuro (qui il momento del crepuscolo dura davvero pochi istanti) hanno raccolto
tutto di fretta e hanno chiesto di essere accompagnati fino al cancello. Il paradosso
di questi bambini con ginocchia e gomiti perennemente sbucciati, dall’apparente
senso del pericolo inesistente è la loro paura per i cani, fedeli guardie del
cortile. Aggrappati alle nostre braccia e superato il cancello se la sono date
a gambe levate fino alle loro case. “Merci pour etre venus nous saluer”. Che
bello sarebbe se potesse diventare appuntamento quotidiano, ma non oseremo
chiederlo.
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