Mi chiama, mi chiama un numero
infinite di volte. Ripete il mio nome a
raffica: Alice Alice Alice, alla francese naturalmente. Lo dice senza
stancarsi, con un ritmo perfetto quando vuole attirare la mia attenzione, a
scadenze regolarissime quando lo ripete da dietro il muro della camera. Alice
Alice Alice. C’è da perderci la pazienza, ma poi non ci si riesce. Sfiderei
anche il più innervosito al mondo: non ci si riesce. Perché poi Alansandre ha
due occhi che guardano dentro le cose, ci scavano nei miei. E lui va dritto
nelle pupille continuando a chiedere “Alice ça va?” “Alice tu as vu?” “Regard
Alice”. Non si ferma, si infila tra un braccio e il mio fianco, riempie le mie
mani con le sue, cerca i miei coi suoi occhi. E ancora “Alice Alice Alice”.
Alansandre aveva una mamma. La sua mamma si chiamava Alice.
Alansandre aveva una mamma. La sua mamma si chiamava Alice.
Un pezzo di vita dedicato al mia papà, in questo
giorno speciale.
Per convincerlo un po’ che, fosse anche solo per
questi due occhi, ne vale la pena.
Nessun commento:
Posta un commento