Immaginate la chiesa parrocchiale
nella penombra mattutina. Tra le sagome illuminate dai neon che formano le
quattro braccia della croce, scorgerete sulla destra una figura che ondeggia da
una parte all’altra, talvolta con le mani alzate, al ritmo dei canti in Samo. Marie
Cecile, occhi socchiusi e sorriso sdentato, veste un abito stracciato, rigido
per la sporcizia. Cammina storta, trascinando il peso della sua malattia e
dell’emarginazione. Per tutti lei è matta. La potete facilmente incontrare a
messa mentre risponde a voce alta, secondo i suoi tempi, e al momento della pace affrettarsi per dare
il segno della pace alle sue bianche, le sue ‘gam’. Marie Cecile non ha nulla,
solo quel vestito e il rosario di plastica rosa al collo. Sul sagrato o accanto
all’entrata dell’ufficio dell’abbè Enrique canta a squarciagola i canti della
messa e benedice in Samo. Talvolta entra nel cortile delle suore e, dopo
qualche metro, si ferma davanti alla statua della Madonna per cantare l’Ave
Maria. Non chiede pane, acqua, soldi, viene solo per salutare chi non l’ha
abbandonata. Marie Cecile è sola ma è sicura che Dio non l’abbandona. Per
questo, tra tanti posti che potrebbe scegliere per dormire all’addiaccio,
sceglie di appoggiarsi al cancello della chiesa per fare compagnia al suo
Signore, Colui che non l’ha mai abbandonata. Piccola Marie Cecile, a te
appartiene il regno dei cieli!
Teresa
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