Ore 10.30, accompagnata da Madì - l’autista – dal Centro alla casa, scorgo passando in automobile una bambina, seduta sola all’angolo di un muro, poco distante dall’ingresso del centro. Non do tanto peso a questa immagine, ma continuo a pensarci quando dopo poco ritorno al centro. Non ci sto, esco e vado a vedere se davvero quella bambina è quella che pensavo… ma qui, per me, ancora sono tutti molto simili. Invece…è lei, Alessia. Una dei bambini del centro, orfana di entrambi i genitori, affidata al nonno molto anziano e quasi cieco, con cui abita insieme alla zia e gli altri cinque figli di questa; conosciuti proprio ieri. La saluto, le faccio una carezza. Non un sorriso, nemmeno una qualsiasi reazione. Aspetto. La prendo in braccio e mi indica le ciabatte, rimaste a terra. Le prendiamo con noi, pochi passi per uscire dalle sterpaglie e camminiamo, mano nella mano, verso il Centro. Un ritmo lentissimo nei suoi passi, probabilmente se davvero l’avessi dovuta seguire, non ci saremmo spostate da quel muro. Ma è d’accordo, lei segue me e quei venti metri diventano lunghissimi, come se fossero kilometri per il tempo impiegato a percorrerli. Alessia continua a non guardare nessuno, non dà attenzioni, non si interessa a chi e che cosa la circonda. Se le lasciamo la mano non fa un passo.
Ma mi prendo cura di lei: le pulisco il viso, le sistemo la felpa, le do da bere… semplici gesti di cura, forse coccole. Affetto senza dubbio. Passa un’ora, forse anche di più. È un tempo davvero senza scansioni, è tutto uguale. Invece poi non so cosa succede, ma Alessia adesso stringe la mano e guarda negli occhi. La lascio andare, segue gli altri bambini nei giochi. Mi aiuta a sistemare le sedie per tutti i bambini che tra poco arriveranno per il pranzo. Sale sui tavoli, ride
e vola…
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