sabato 24 dicembre 2011

Portava in sé la nostalgia di un altro mondo, di un altro modo di vivere


“Ci ha rivelato che essere stranieri è la nostra condizione più vera.
Che non sentirci mai del tutto a casa non è un disagio mentale
ma la verità del nostro destino in questa esistenza.
Ciò che da straniero hai vissuto lì
ti aiuti a riconoscere in te quella sete inesauribile di vita”


Siamo nel pieno dell’inverno in Africa ed in effetti ogni notte fa un po’ più freddo della notte precedente. Dormo con una coperta di pile ed un piumino… doppio. Si, anche qui fa freddo a Natale. Sarà condizione comune di questo Gesù che nasce, ovunque al freddo.
Si incontrano tanti bambini per le strade, tutti avvolti da giacche a vento, incappucciati e… con le infradito ai piedi. Spesso si sorride nel vederli, ma dopo alcune notti capisci che devono avere freddo davvero. Li guardo e mi chiedo se quella notte hanno dormito in un letto, se il pavimento è più comodo di una mangiatoia o se più semplicemente ce l’hanno una coperta per scaldarsi. Dopo aver ascoltato una chiacchierata a tavola l’altro giorno, ho trovato la risposta. Sicuramente ci avranno anche dormito con la giacca, non avendo altro.
È la vigilia. Con la connessione nuovamente attiva, il desktop del mio pc si è riempito di una valanga di mail. Messaggini e telefonate sul cellulare: da oggi mi piace avere una scusa per sentirsi.
Confermo: è strano stare qui oggi, anche se passeggiare è come concedersi una gita nel mezzo di un presepe vivente. È strano stare a Toma oggi più degli altri giorni perché, per l’ennesima volta da lontano, mi accorgo di quanto è bello avere una famiglia e degli amici, ma soprattutto mi accorgo di quanto è bella la famiglia che ho e quanto bene voglio ai miei amici e quanto sia difficile starci lontano, specialmente in certi momenti. Ed ho scoperto che in Burkina il Natale non è la festa della famiglia. Io sono qui, ma ovunque vada resto sempre me stessa.
Voglio riuscire a farmi inondare il cuore e il corpo dalla musica che tra poco riempirà tutto, e trasformerò il mio bel pensiero a voi in sorrisi, perché questa sensazione non ha nome diverso che malinconia. Ma è data da una forte consapevolezza: quanto affetto ho nella mia “casa”. E questi bambini? Quanto ne hanno?

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